giovedì 20 novembre 2008




Siamo così giunti al secondo anno di vita della nostra Comunità. Come festeggiare al meglio il nostro compleanno? Con una bella polentata insieme.
Vi aspettiamo tutti quindi domenica 30 novembre dalle ore 12 per il pranzo e dalle ore 17 per la festa danzante in via Roma a Monteleone di Fermo.
PS se avete desiderio di pranzare con noi contattateci casadimattoni@coopres.it, se invece volete partecipare alla festa sapete dove siamo....

venerdì 31 ottobre 2008

Osservazioni sugli emendamenti al disegno di legge A.S. 733 relativi ai minori stranieri e comunitari non accompagnati

"Non potrebbe più essere rilasciato, dunque, un permesso di soggiorno ai minori che, pur affidati o sottoposti a tutela, siano entrati in Italia dopo il compimento dei 15 anni e/o non possano dimostrare di aver partecipato a un progetto di integrazione per almeno 2 anni. Questi ragazzi, anche nei casi in cui siano iscritti a scuola o abbiano un contratto di lavoro, alla maggiore età verrebbero espulsi o resterebbero in Italia come stranieri irregolari.

L’esclusione dei minori non accompagnati che sono entrati dopo il compimento dei 15 anni dalla possibilità di ottenere un permesso di soggiorno alla maggiore età introdurrebbe una disparità di trattamento tra i minori stranieri presenti in Italia che non trova un ragionevole fondamento nei principi dell’ordinamento italiano, costituendo una violazione del principio di non discriminazione sancito dall’art. 3 della nostra Costituzione e dall’art. 2 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. "

"Gli effetti di tale modifica normativa, inoltre, sarebbero estremamente negativi, sia rispetto alla tutela dei diritti dei minori, sia rispetto agli stessi obiettivi di promozione della sicurezza che il Governo intende perseguire.
L’esclusione dei minori non accompagnati che sono entrati in Italia dopo il compimento dei 15 anni da ogni prospettiva di inserimento legale, infatti, scoraggerebbe questi ragazzi dall’emergere e dal seguire un progetto di integrazione. Se entrerà in vigore la norma proposta, questi minori avranno la consapevolezza che, anche seguendo con impegno un percorso scolastico, formativo e lavorativo e rispettando la legge, comunque alla maggiore età non potranno ottenere un permesso di soggiorno e diventeranno espellibili: saranno quindi spinti a restare nella clandestinità, fuori dal circuito di accoglienza, costretti a vivere in condizioni abitative assolutamente inadeguate (per strada, in baracche, in fabbriche abbandonate ecc.), non andranno a scuola, non avranno accesso ai servizi sanitari e sociali, e molto facilmente finiranno sfruttati nel lavoro nero, nell’accattonaggio, in attività illegali o nella prostituzione minorile.
Le conseguenze pratiche di tale disposizione porterebbero dunque a gravi violazioni dei diritti riconosciuti dalla Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a tutti i minori che si trovino sul territorio italiano, indipendentemente dalla nazionalità e dalla posizione in ordine al soggiorno (art. 2 Convenzione): i diritti all’accoglienza, all’istruzione, alla salute e alla protezione dallo sfruttamento e più in generale il principio in base a cui il superiore interesse del minore deve essere una considerazione preminente in tutte le decisioni riguardanti i minori (art. 3 Convenzione).
Inoltre, tale modifica normativa avrebbe effetti molto negativi non solo rispetto alla tutela dei diritti dei minori, ma anche per la società italiana, in quanto con tutta probabilità si verificherebbe un aumento del numero di minori sfruttati o comunque impiegati in attività illegali.

In secondo luogo, i percorsi di integrazione di tutti quei minori che avranno scelto di restare comunque nelle comunità d’accoglienza e di seguire i progetti di inserimento scolastico e formativo, pur non avendo il requisito dell’ingresso da almeno 3 anni, sarebbero bruscamente interrotti alla maggiore età: ciò rappresenterebbe per lo Stato italiano un assurdo spreco delle risorse economiche ed umane investite per l’integrazione di questi minori.

Tale norma, infine, può costituire un incentivo a un’immigrazione in età sempre più precoce: se l’ingresso in Italia da almeno 3 anni sarà un requisito necessario per restare regolarmente dopo la maggiore età, molti bambini e genitori saranno probabilmente spinti ad anticipare la migrazione verso l’Italia prima dei 15 anni. Quando tale requisito fu introdotto dalla legge n. 189/02 e per un certo periodo prevalse l’interpretazione per cui i minori che erano entrati in Italia da meno di 3 anni non potevano in alcun caso ottenere un permesso di soggiorno alla maggiore età, secondo la testimonianza di numerosi operatori si assistette effettivamente a un abbassamento dell’età media di arrivo.
Questo avrebbe gravi conseguenze rispetto alla tutela dei diritti dei minori, in quanto trovarsi senza i propri genitori in un paese straniero è evidentemente causa di assai più grave pregiudizio per un bambino di meno di 15 anni che non per un ragazzo più grande.

L’obiettivo della modifica proposta sembra essere quello di scoraggiare gli ingressi di minori non accompagnati. Dai dati disponibili, tuttavia, risulta che il numero di minori non accompagnati presenti in Italia non ha subito rilevanti variazioni nell’ultimo decennio, a fronte di modifiche in senso più o meno restrittivo delle norme e delle prassi relative al rilascio del permesso ai 18 anni: tra i momenti in cui è stato sostanzialmente bloccato il rilascio del permesso di soggiorno alla maggiore età e i momenti in cui è prevalsa l’interpretazione meno restrittiva della legge, non si sono registrate significative variazioni nel numero di minori non accompagnati che arrivavano nel nostro paese1.
Dall’esperienza di questi anni è ormai chiaro che tali modifiche hanno un impatto non tanto sulla scelta se emigrare o meno in Italia, quanto sull’età della partenza e soprattutto sul percorso in Italia. Se sarà approvata la norma proposta, probabilmente non si avrà una reale riduzione del numero di minori non accompagnati che arriveranno in Italia, ma si registrerà un abbassamento dell’età media, con una più elevata proporzione di minori di età inferiore ai 15 anni tra i nuovi arrivi. E, soprattutto, si avrà un forte aumento del numero di minori che resteranno nella clandestinità, sfruttati in circuiti di marginalità e illegalità, e senza accesso a quei diritti (all’accoglienza, alla salute, all’istruzione ecc.) che la Convenzione ONU riconosce a tutti i minori.

Auspichiamo dunque che l’emendamento 18.22 non venga approvato, e che siano pienamente applicate le vigenti disposizioni di cui all’art. 32 Testo Unico n. 286/98, conformemente alla giurisprudenza in materia della Corte Costituzionale e del Consiglio di Stato.

2) Rimpatrio assistito dei minori non accompagnati comunitari

L’emendamento 18.0.100 al disegno di legge A.S. 733 prevede l’applicazione delle disposizioni relative al rimpatrio assistito di cui all’art. 33, comma 2-bis del Testo Unico n. 286/98 ai minori non accompagnati cittadini dell’Unione europea che esercitano la prostituzione, attribuendo dunque la competenza in materia al Comitato per i minori stranieri.
Tale disposizione si pone in contrasto con quanto previsto dal Regolamento (CE) n.2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che disciplina le materie relative alla responsabilità genitoriale, inclusi il diritto di affidamento – definito come l’insieme dei “diritti e doveri concernenti la cura della persona di un minore, in particolare il diritto di intervenire nella decisione riguardo al suo luogo di residenza” – e la collocazione del minore in una famiglia affidataria o in un istituto (artt. 1 e 2). Il Regolamento detta inoltre specifiche disposizioni in materia di ritorno del minore nei casi di trasferimento illecito o mancato rientro (art. 11).
Ai sensi dell’art. 8 del Regolamento, la competenza ad adottare le decisioni in materia di responsabilità genitoriale (incluse le decisioni in materia di rientro del minore) è attribuita a un’autorità giurisdizionale. Sulla base del criterio di vicinanza, il Regolamento stabilisce che l’autorità giurisdizionale competente è in via generale quella dello Stato di residenza abituale (concetto che non viene definito dal Regolamento, ma che deve essere determinato dal giudice volta per volta nel caso concreto sulla base di elementi di fatto), fatte salve le disposizioni di cui agli articoli 9, 10 e 12.
La disposizione che attribuisce in generale la competenza sul rimpatrio dei minori non accompagnati cittadini dell’Unione europea che esercitano la prostituzione al Comitato per i minori stranieri è dunque evidentemente in contrasto con quanto previsto dal Regolamento CE n.2201/2003 in quanto, nei casi in cui lo Stato di residenza abituale del minore sia un altro Stato appartenente all’Unione Europea, la competenza sarà in via generale (con le eccezioni previste dal Regolamento stesso) dell’autorità giurisdizionale di tale Stato e non dell’Italia: ad esempio, nel caso di un minore che risulti abitualmente residente in Romania, sarà l’autorità giurisdizionale rumena a dover decidere sull’eventuale rientro dello stesso.
Posto che il Regolamento, in quanto normativa comunitaria, non può essere derogato dalla legislazione ordinaria, la disposizione in oggetto deve ritenersi illegittima.
Auspichiamo dunque che l’emendamento 18.0.100 non venga approvato, e che si dia piena applicazione al Regolamento (CE) n.2201/2003"

domenica 19 ottobre 2008

CORPI DI CONFINE Questo è l'inizio del post. E questo è il resto.




da corpidiconfine.splinder.com



"Cari amici,
i due mediatori culturali di area afghano-islamica-mediorientale-minori del Comune di Venezia sono rientrati ieri da una spedizione a Patrasso.
Il progetto auofinanziato e realizzato per volenterosa inizativa personale, ha dato assolutamente buoni frutti.
Abbiamo realizzato numerose interviste con la videocamera professionale HD che potranno essere montate e tradotte-sottotitolate per ricavarne materiale formativo per scuole, centri, comunità, comuni, associazioni.
Data l'esperienza dei mesi scorsi trascorsi a mediare preconcetti imbarazzanti, pretese assurde, codici strampalati di relazione, abbiamo pensato potesse essere utile andare a recuperare alcune informazioni direttamente alla fonte."
"A questo proposito ricordiamo che molto materiale era stato raccolto nella nostra scorsa spedizione in Iran, con 5 mesi di rilievi ed interviste tra i sobborghi delle principali città iraniane afflitte dalla piaga della emigrazione clandestina, delle seconde generazioni senza diritti di cittadinanza, degli afghani integrati e politicamente attivi per il riconoscimento dei diritti umani.
L'Iran e Patrasso (Grecia) rappresentano dunque due importanti stazioni di transito della migrazione afghana, migrazione che parla ufficilamente e a grandi lettere di "rifugiati" già dal 1978-79 con l'invasione sovietica. L'Eco europea e Italiana è relativamente recente rispetto all'sperienza migratoria di un popolo che si può definire realmente in diaspora, disperso già negli altri Continenti prima ancora che in Europa. L'Europa come risponde? Con la Convenzione Dublino per evitare "l'asilum shopping", entrando in diretto contrasto con le pratiche di sopravvivenza del network internazionale afghano sviluppato nei secoli scorsi (vedi al riguardo gli studi dell'antropologo Alessandro Monsutti); con l'ennesimo inserimento in "campi" di seconde generazioni che dai campi (campi profughi del Pakistan soprattutto) erano uscite fuggendo in Iran; con una gestione omogenea di una tipologia di migrante oltremodo complessa e specifica, che include giovani, molti minori, di diversa provenienza e di diversa estrazione sociale, con attese, capacità e prospettive di inserimento molto differenti e una storia d'asilo che pesa, in diversi modo, su ogni singolo caso.
La rabbia, la sfiducia, la tendenza all'assistenzialismo, le altissime aspettative che abbiamo incontrato in questi mesi hanno a mio parere una radice più profonda e radicata di quel che può sembrare e per affrontarle non basta valutare una singola situazione o un singolo Paese. le informazioni circolano all'interno della rete anche troppo velocemente, e nel caso si tratti di malinformazione i danni visibili non sono più di quelli non immediatamente osservabili.
Questi i motivi per cui abbiamo scelto di andare a Patrasso, la prima faccia dell'Europa e l'isola del non ritorno per molti "Dublini" Europei.

Gli obiettivi di questo viaggio erano principalmente:

* verificare la conoscenza di normative, diritti e doveri riguardo la richiesta d'asilo e la "minore età" alla prima tappa di ingresso in Europa.
* verificare la situazione al porto di Patrasso ormai tristemente leggendario per violazione dei diritti umani ecc...
* verificare la situazione al campo "profughi", nascita, storia, relazioni con le autorità, dinamiche interne, situazione igienico-sanitaria, motivi di tensione, sviluppi
* intervistare i ragazzi riguardo le loro pratiche d'asilo aperte in Grecia
* verificare la situazione dei ragazzi dichiarati Dublino dopo un soggiorno in Italia e di cui, si dice, le pratiche siano bloccate nello Stato Membro che dovrebbe esserne competente (per il 90% di loro la Grecia, appunto)
* intervistare i ragazzi riguardo le aspettative, il sogno europeo e la leggendaria eco del network europeo afghano tra miti di sussidi, eldorado e documenti nei vari Paesi d'Europa.
* sondare le diverse situazioni di partenza, i Paesi di provenienza, il grado di istruzione, le classi sociali presenti.
* verificare il numero di minori presenti al campo (campo non inteso come lo intendiamo noi ovviamente! il che equivale a dire "minori in strada")
* intervistare i ragazzi riguardo le "tratte", i costi ei rischi della traversata da Afghanistan a Europa.


Un primo report, soprattutto fotografico di questo viaggio lo potrete trovare all'indirizzo seguente:

http://corpidiconfine.splinder.com/?from=4

dalla pagina 5 in poi a ritroso verso la prima pagina del blog. nei prossimi giorni inserirò altri aggiornamenti, quindi scorrendo le pagine avanti e indietro potrete ricostruire testimonianze dal porto di Patrasso, da Atene, dal campo... con piccoli brani di interviste tradotte al volo per il blog.

Spero di sertirvi presto, e aspetto come sempre vostri commenti, domande, esperienze... sia in diretta sul blog, sia alla mia e-mail personale.

Un caro saluto a tutti!

Francesca Grisot

Mediatore Culturale
Dr.ssa in Lingue e Culture dell'Eurasia e del Mediterraneo
e in Studi Antropologico Linguistici dell'Eurasia e del Mediterraneo
specializzata in Cultura Islamica e Lingua Farsi"

venerdì 17 ottobre 2008

giovedì 21 agosto 2008

NAIMA UNA STORIA COME TANTE


A causa di un progetto sull'immigrazione ho avuto la fortuna di intervistare una donna marocchina che qui chiamerò Naima.

La sera dell'intervista, sono riuscito a dormire ma con molta fatica, perché l'esperienza mi aveva sconvolto, pur avendomi Naima raccontato una storia ordinaria, senza parole pesanti, senza violenze esplicite: una donna marocchina che emigra per il suo sogno di vedere il mondo, una donna laureata, laica, musulmana e comunista. Una che in Marocco faceva le manifestazioni e subiva le cariche della polizia. "Ma allora non avevo paura -afferma- mentre oggi che sono in Italia si".
Fin dalle sue prime parole mi veniva in mente che il suo stesso viaggio, e con lo stesso spirito di avventura, lo hanno fatto migliaia di giovani europei e americani, per lo più di buona famiglia che partivano con in spalla uno zaino o una chitarra e se ne andavano verso le parti più disparate del mondo: la Francia, l'Olanda, l'India, il Sudamerica; con la voglia ed il sogno di conoscere mondi e persone diverse. Qualcuno è tornato dopo aver soddisfatto l'insopprimibile bisogno di conoscere l'altro che alberga negli spiriti migliori. Qualcun altro si è fermato stabilmente da qualche parte e lì si è costruito l'esistenza, nella quale l'incontro fra diversi è diventato elemento costitutivo della nuova vita.

Sembrava essere questa la cornice nella quale la giovane Naima s'imbarcava per l'Italia; non ha raccontato la storia che inizia con un gommone che arriva a Lampedusa fra pericoli, stenti, soprusi e violenze. Raccontava di un viaggio in nave, seppure senza biglietto, che la porta fino a Genova, dove il comandante la rassicura che sbarcherà "purché passi a trovarmi una volta scesi". E lei riesce a svignarsela e a trovare un alloggio grazie a connazionali che l'aiutano. E già da questo si intuisce che, fin dai nei primi anni '90, le discriminazioni erano molto pesanti: si poteva partire con il sogno di viaggiare e arrangiarsi senza una meta precisa, ma non era esattamente la stessa cosa se a farlo era un giovane parigino o bolognese piuttosto che una giovane donna di Marrakesh o di Ouagadougou.

Anche i connazionali che le trovano un alloggio sembrano non avere buone intenzioni, così Naima (e l'amica che viaggia con lei) si mettono a urlare e riescono a fuggire. Da qui in poi il racconto si fa frammentario, pieno di buchi, perché parlare davanti ad una persona conosciuta da due giorni, il fotoreporter, più altri due estranei non è esattamente agevole.
Ma Naima ha un bisogno quasi fisico di parlare, di raccontarsi. Ne viene fuori una narrazione piena di immagini ("sono una musulmana e porto la croce"), ricordi, frammenti, riflessioni, ("il nero tu lo associ al buio; io invece alla notte: perché nella notte vi sono delle luci, c'è la luna, ci sono le stelle. Si intuisce una via d'uscita"). Un racconto fatto soprattutto di lunghi, lunghissimi silenzi.
Io ero seduto di fronte e durante quei silenzi interminabili in cui lei mi guardava con i suoi due occhi smarriti e spaventati mi chiedevo come avrei fatto, dopo poco, a dire "Buonanotte, l'intervista è finita. Ciao".

Naima, con appresso il suo bambino piccolo, ci ha aiutati a dire buonanotte e ad andarcene ognuno a casa sua. Ma ci ha prima lasciato lo smarrimento e la disperazione dei suoi occhi, delle sue paure, delle sue parole e, soprattutto, dei suoi silenzi. La paura della solitudine, innanzitutto; ci ha raccontato che nel suo quartiere, ad alta concentrazione di immigrati, esiste una tacita classifica tra immigrati, per la quale ci sono comunità di serie A, B, C e via dicendo. Ma peggio di tutte è la condizione di una donna sola, laureata, marocchina, laica e con un figlio, che non viene accolta nemmeno dalla sua comunità.
Alla fine dell'intervista ha abbassato gli occhi ed ha emesso un lamento: "Voglio andare a casa!..." ....(silenzio).... "ma qual'è la mia casa?" ....(silenzio).... "In marocco non ce l'ho più e non mi ci sento" .... "qui ho la cittadinanza ma non mancano le occasioni in cui gli italiani ti ricordano chi sei:" ... "tu sei una marocchina. Non sei italiana"... "te lo rinfacciano ogni volta che fai un'osservazione, che chiedi un menù diverso alla mensa di tuo figlio" ... "ogni volta che dici la tua ­

rispetto alle mansioni sul posto di lavoro" ... "ti dicono: -che ne sai tu? sei arrivata adesso e ne vuoi sapere più di me?" ... " me lo dicono anche se sono cittadini italiana e sto qui da quasi 20anni".... "voglio andare a casa!".

Va bè. L'intervista è finita e si va a dormire. Ci si prova almeno, pensando: cosa posso farci? Posso, possiamo dare una risposta? Con questi pensieri torno alla mia vita di sempre. Trovo anche qualche occasione di contatto sociale e lavorativo per Naima e, quando glielo comunico, vedo che si illumina. Lo so, anche se ci sto parlando per telefono.

Mentre sto scrivendo un collega mi dice: "perdi tutto questo tempo a scrivere, a raccontare una storia come ce ne sono mille, tutte uguali? Bella scoperta: queste cose le sanno tutti". Il collega ha ragione: conoscere Naima è stata una bella scoperta.



Marco Milozzi



mercoledì 16 luglio 2008

Lettera alla Casa di Mattoni (di Abdoulaje Lo)

La Casa di Mattoni è una comunità per minori. Una comunità per minori è un luogo dove i ragazzi sotto i 18 anni vivono insieme a persone più grandi di loro che li seguono al fine di migliorare il più possibile le loro vite.

All'inizio per me è stato difficile e noioso e non mi abituavo a questa vita, mentre ora mi sto abituando e più ci vivo e più mi lego alle persone con cui vivo. Inoltre, la Casa di Mattoni non è come le altre comunità. Noi abbiamo più possibilità di esprimerci. Decidiamo cosa fare. Non è come gli altri posti. Organizziamo varie attività, ad esempio sportive, culturali e sociali. Decidiamo insieme sulle cose da fare.

Vi presento brevemente i nostri onorevoli operatori:

Giampaolo: quest'uomo è il principe di Stella, ragiona bene sulle cose e passa il suo tempo a ridere e a portare in casa gioia. È bello, ma ciò è una sfortuna per le altre ragazze, perché è OCCUPATO!

Eugenio: quando lo guardo è come guardare un ragazzo africano. Non gli importa cosa la gente pensi di lui. BRAVO! È di mente aperta. È davvero una persona che apprezzo.

Giulio: non lo confondete per un giamaicano. Sembra ma non lo è. È comprensivo, tenero e anche gentile. Non è facile gestire tante lingue come fa lui. BRAVO GIULIO! Io ho molto rispetto di lui.

Gigi: anche se è più grande di noi, cerca di essere come noi, ci fa ridere sempre, è davvero divertente. Grazie per avere scaricato vari CD della nostra cultura. Ci fai sentire come a casa. Il mio Dio ti darà una ragazza per tutto quello che hai fatto per noi. NON TI PREOCCUPA'!

Francesco: dice sempre ai ragazzi di mantenere la casa pulita. È molto gentile ed è un ragazzo intelligente. Cerca di parlare con noi e di insegnarci come vivere. BRAVO! Rispetto molto anche lui.

Luca: intelligente e amico delle ragazze. Il famoso ragazzo di Servigliano. È il re ed è aperto, tenero, dinamico. È un amico. Ma è anche il più grande playboy che abbia mai visto. Caro Luca, le donne sono tante, non puoi conquistarle tutte! PIANO PIANO!

Claudia: si preoccupa sempre per noi. Ride sempre. È sempre dalla nostra parte. Ci parla sempre con il suo buon cuore. È come una mamma per noi. È solo un po' CURIOSA.

Elisa: è una ragazza intelligente. Sa tutto ciò che noi facciamo. Si preoccupa sempre per noi. Ci è molto vicina. ELI VERAMENTE SEI SIMPATICA. Però è un po' curiosa anche lei.

Laura: ci piace giocare con lei. Lei ci capisce e si preoccupa sempre per noi. Scherza e ride. Ha un cuore gentile anche se anche lei è un po' CURIOSA.

Sonia: è una ragazza davvero semplice, umile e anche intelligente. Mi piace come si comporta ed io la rispetto molto.

Roberta: è molto simpatica e si preoccupa sempre per noi. È aperta ed io la apprezzo molto.

Queste sono le persone che ci seguono. Cercano ogni giorno di farci star bene. Noi amiamo tutti loro! Casa di Mattoni, il luogo dove si sta bene! Le nostre porte sono aperte per voi!

venerdì 11 luglio 2008

Aria nuova in casa





Alla Casa di Mattoni stamattina si respira aria nuova, aria che sa di freschezza, di mani che lavorano insieme, di colore giallo su pelle nera, di voglia di rinnovare, di gambe che salgano veloci sulla scala. Il tutto accompagnato da musica che rimbomba nella stanza vuota appena finita. C'è chi attacca, chi stacca, chi stucca, chi pittura e chi dorme sognando di scendere sotto e stupirsi nel trovarsi in mezzo al deserto. Sì deserto, perchè il colore della sala pranzo è proprio quello della sabbia che di giorno in giorno viene trasportata dal vento, cambia posizione, si rotola e si ritrova a testa in giù.
Un po' quello che succede ai ragazzi qui: arrivano, conoscono, litigano, ridono, studiano, crescono e poi cambiano casa, città e si costruiscono la loro vita.
È proprio bello pensare a questo posto COLORATO immerso nei campi di girasoli, orzo e grano.

lunedì 23 giugno 2008

Povera AFRICA, La Terra Madre (di Abdoulaje Lo) 17 anni ospite della "casa"

L'Africa è un continente con molte risorse ma a causa della mancanza di mezzi non ne può usufruire appieno. Molti anni fa, dopo la scoperta di una nuova terra chiamata America da parte di Cristoforo Colombo, gli europei scoprirono che quella terra aveva bisogno di manodopera da sfruttare. Quindi, dopo aver scoperto l'Africa, puntarono ad esplorare l'America.
Da quel giorno iniziò la schiavitù. Andarono in Africa e presero i giovani; essendo più forti, erano in grado di lavorare nelle piantagioni americane. Fratello! Immagina i nostri nonni e le nostre nonne, presi e deportati in America. Picchiati e trattati come animali. Legati come cavalli e come asini. In più derubati del loro oro e argento, e così via.
Se vai in Senegal puoi ancora visitare la “Maison des esclaves” (Casa degli schiavi), un luogo dove gli schiavi venivano messi insieme e ammanettati prima di essere deportati in America. Nel retro dell'edificio si trova una porta chiamata “Port sans retour” (Porta senza ritorno). Questa era l'unica via d'uscita, quindi gli schiavi che cercavano di fuggire passando da quella porta venivano sbranati dagli squali. Quelli che venivano deportati in America erano costretti a lavorare peggio dei cavalli e venivano picchiati come si fa con un asino quando non vuole andare avanti.
Il commercio di NEGRI, così come venivano chiamati a quel tempo, durò molti anni prima di essere vietato. In Africa furono lasciate fame, stenti e famiglie divise e rimase soltanto la popolazione anziana che ormai non poteva più lavorare: lasciarono all'Africa una grande ferita in mezzo al cuore.
Dopo molti anni vennero ad acuire quella ferita che ancora non si era rimarginata con la colonizzazione.

Voglio chiederti una cosa, fratello: se qualcuno venisse a casa tua dicendo che è la sua casa e ne facesse quello che gli pare, cosa faresti tu? Credimi, questo è ciò che hanno fatto con l'Africa. Hanno diviso la nostra terra e rubato i nostri beni.
Durante la Seconda Guerra Mondiale la maggior parte dei nostri nonni aveva combattuto per l'occidente.
Oggigiorno noi africani abbiamo dimenticato tutte le crudeltà che abbiamo subito. Abbiamo aperto le porte agli europei, che tuttora sono benvenuti e che vengono trattati dagli africani sempre con buone maniere. Sono rispettati e anche amati in Africa, perché noi sappiamo perdonare.
Se sei un occidentale non hai bisogno di un visto per venire in Africa, non serve un documento per essere libero. Non bisogna aver paura della polizia, perché non ti chiederanno nessun documento.
Purtroppo non è questo il nostro caso, anzi, è vero il contrario: noi dobbiamo avere un visto, dobbiamo avere un permesso di soggiorno e abbiamo paura della polizia. Dimmi tu in che mondo viviamo.
Inoltre, quanta gente è morta cercando di attraversare il mare per arrivare in Europa. Quante persone stanno soffrendo in Europa perché clandestine, o che sono costrette a vendere illegalmente oggetti. Dimmi semplicemente com'è possibile. E dimmi come mai tutto ciò avviene.
Perché non esistono uguali diritti e giustizia per tutti? Credimi, io sto male quando penso a tutte queste cose che loro hanno fatto e al modo in cui ci manipolano. E credimi, io piango per l'ineguaglianza e l'ingiustizia del mio popolo ogni giorno.
Noi africani non smetteremo mai di dare al nostro continente ciò che si merita. E credimi, lo faremo rifiorire per sempre.

PROVERBIO
Chi semina raccoglie

sabato 21 giugno 2008

direttiva europea......ora si possono rimpatriare anche i minori




PRESENTIAMO PER INTERO IL TESTO TRADOTTO DELLA DIRETTIVA EUROPEA IN MATERIA DI RIMPATRI DI STRANIERI CLANDESTINI, CHE PREVEDE L'ACCOMPAGNAMENTO DEI MINORI NON ACCOMPAGNATI IN PATRIA.
ACCANTO ALL'ARTICOLO TROVERETE ALCUNI ARTICOLI COLLATERALI E COMMENTI DI ILLUSTRI ESPONENTI E TESTATE GIORNALISTICHE.
PUBBLICHIAMO IL TESTO PER COMINCIARE UNA RIFLESSIONE INSIEME AGLI AVVENTORI DEL BLOG.

scarica la direttiva tradotta in italiano.

http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/com2005_0391it01.pdf

sabato 7 giugno 2008

martedì 27 maggio 2008

SINDROME COMUNE A GLOCAL 2.0



SINDROME COMUNE il laboratorio di Antonio Rezza e Flavia Mastrella tenuto a Monteleone in occasione di Paesaggi Umani con il contributo della Comunità Casa di Mattoni, sarà presente alla manifestazione Glocal 2.0 organizzata da Comunanze.net insieme alla Provincia di Ascoli Piceno.
All'interno di Glocal 2.0 sarà possibile visionare il video prodotto da Rezza/Mastrella insieme ai ragazzi partecipanti del laboratorio video svoltosi a Monteleone e Servigliano. Inoltre ci sarà l'occasione di ascoltare, dalla viva voce dei partecipanti, il racconto dell'esperienza della Casa di mattoni e di tutti i ragazzi che hanno preso parte all'evento. Vi aspettiamo quindi a Glocal 2.0 (Ascoli Piceno, Grottammare, Marano, Comunanza).

lunedì 12 maggio 2008

alla prossima

la "casa di mattoni" dopo le fatiche del festival Paesaggi umani ritorna al suo lavoro di casa ospitale e ringrazia tutti coloro che hanno reso possibile l'evento e chi vi ha partecipato con tanta passione.
un ringraziamento particolare va ad Antonio Rezza e Flavia Mastrella.
nel blog troverete alcuni video dell'evento e dei laboratori, nei prossimi giorni saremo in grado di pubblicare alcuni stralci video del laboratorio di Rezza/mastrella.
grazie a tutti dalla "casa di mattoni"

sabato 12 aprile 2008

SINDROME COMUNE
PROGRAMMA


2 maggio

Ore 11.00-18.00: SINDROME COMUNE a cura di La Casa di Mattoni. Prima giornata
LABORATORIO LUDICO DI DOCUMENTAZIONE E DI IMMAGINE SULLA COMUNITÀ E SUL TERRITORIO con Antonio Rezza e Flavia Mastrella (autori, registi e attori teatrali e cinematografici).

Ore 11.00-18.00: PAESAGGI SONORI a cura di Arteria Community. Prima giornata
Ore 11.00 – 13.00 WORKSHOP INTRODUTTIVO sul tema dell’educazione acustico - ambientale
Ore 15.00 – 18.00 PASSEGGIATE SONORE (sound walk) nei territori dei Comuni di Monteleone, Montelparo e Servigliano. esplorazione del paesaggio sonoro servendosi di una mappa e di un registratore.


Ore 21.30
SPETTACOLO SERALE / “IO” di Antonio Rezza e Flavia Mastrella;
grottesca rivisitazione del tema dell’individualismo del mondo consumistico

N.b1. le attività si svolgono parallelamente e la scelta per i partecipanti è libera
N.B2 per i partecipanti sono previsti un pranzo e una cena comunitari
N.B3: Per la notte tra il 2 e il 3 maggio, è previsto per i partecipanti il pernotto all’interno degli Ostelli di Montelparo e Monteleone di Fermo

3 maggio 2008
Ore 11.00-18.00: SINDROME COMUNE a cura di La Casa di Mattoni. Seconda giornata
LABORATORIO LUDICO DI DOCUMENTAZIONE E DI IMMAGINE SULLA COMUNITÀ E SUL TERRITORIO con Antonio Rezza e Flavia Mastrella (autori, registi e attori teatrali e cinemetografici).

Ore 11.00-18.00: LABORATORIO DI IMPROVVISAZIONE TEATRALE SUI TEMI DELLA COMUNITÀ
a cura di Improvvivo

Ore 11.00-18.00: PAESAGGI SONORI a cura di Arteria Community.
Seconda giornata
PASSEGGIATE SONORE (sound walk) nei territori dei Comuni di Monteleone, Montelparo e Servigliano. esplorazione del paesaggio sonoro servendosi di una mappa e di un registratore.


Ore 11.00–18.00 LABORATORIO DI RACCOLTA E CUCINA DELLE ERBE SPONTANEE a cura dell’Accademia delle Erbe di Monte S. Pietrangeli

Ore 21.30: FESTA DELLA COMUNITÀ / RAPPRESENTAZIONE DEI LAVORI REALIZZATI DAI PARTECIPANTI AI LABORATORI


N.b1. le attività si svolgono parallelamente e la scelta per i partecipanti è libera
N.B2. per i partecipanti sono previsti un pranzo e una cena comunitari

lunedì 31 marzo 2008

storie di guerra


La guerra, le migrazioni, l’accoglienza
La fuga dei minori dalle nazioni in guerra,
itinerari di accoglienza e divulgazione oltre i media.

La “casa di mattoni” comunità di accoglienza per minori è una realtà che opera da circa un anno e mezzo nell’accoglienza di minori cercando di rispondere alle esigenze del territorio in cui è ubicata e ha come piattaforma ideologica il lavoro di comunità e quindi l’interazione con gli attori sociali che popolano il territorio, considerando quest’ultimi parte fondante del lavoro all’interno della struttura stessa.
L’apertura nei confronti del contesto in cui è insediata la CASA non si limita ad utilizzare passivamente le opportunità presenti sul territorio ma mira a generare un rapporto paritario di scambio e di condivisione di saperi ed esperienze attraverso l’attivazione di iniziative all’interno della struttura stessa, partendo dai vissuti e dai bisogni dei ragazzi che costituiscono la CASA.
Proprio dalla convinzione che una struttura d’accoglienza possa essere a tutti gli effetti un attore sociale nel contesto in cui è inserita, alla pari di altri ambiti è quello che ci spinge a sperimentarci corpo a corpo con i nostri ragazzi nell’attivazione di progettualità ed eventi che vanno oltre il nostro mandato di EDUCATORI ma che in realtà è la vera peculiarità che ci trasforma in OPERATORI SOCIALI (ovvero coloro che tentano di generare socialità).
Questo è quello che sappiamo fare, generare spazi di confronto e di discussione sulle tematiche che sono care a noi e ai ragazzi che vivono con noi, proporre momenti di socializzazione e di scambio e non di integrazione ma di disintegrazione delle differenze, di rivendicazione di saperi che sono frutto delle esperienze che le nostre storie raccontano.
Oggi alla casa di mattoni sono presenti diversi ragazzi stranieri e alcuni di questi oltre a portare l’etichetta dell’extra comunitario, ricamata con cura da leggi sempre più restrittive , portano i segni visibili dei conflitti che a noi arrivano solo grazie al fatto che finiscono quotidianamente sulle pagine dei nostri giornali.
La guerra per noi pacifici è solo una derrata predigerita, confezionata e assorbita dal nostro apparato pensante e grazie a questo possiamo immaginare che cos’è, ci possiamo indignare, impegnare ma in realtà confrontandoti poi, con chi la guerra l’ha vista, vissuta e ha evitato di diventare parte del conteggio dei morti o dei mutilati, la percezione cambia e avverti le bugie: avverti la menzogna che muove le pedine del consenso perché umanitaria e così via, fino a spegnere lo strumento di media-zione e cominciare a sporcarti le mani di storie vere, di occhi che non ti guardano mai, di scatti dinnanzi a gesti normali come una pacca sulla spalla e d’un tratto ti accorgi che a questa gente serve tutto tranne che il piombo.
Capisci che spesso la loro vita è una conta tra il piombo e il cassone di un camion, tra i ricatti dei trafficanti di uomini e la clandestinità ad oltranza.
Ci sono bambini che da quanto sono umanitarie le Nostre guerre all’età di dodici anni si incamminano verso l’Europa attraversando da clandestini quattro o cinque nazioni, impiegano due, tre, quattro anni per raggiungere paesi dove sperano di poter vivere “liberi”, pagano mediamente 1000, 2000 dollari a chi li nasconde per passare le frontiere e crescono mentendo e nascondendosi rischiando nel più bello di essere rimpatriati là dove il piombo cade e non ha nessuna intenzione di farla finita.
Noi un po’ di queste storie le viviamo quotidianamente e questo è il primo elemento che ci fa diffidare dai “media” ed è per questo che vi invitiamo a parlare di guerra e migrazione con chi queste cose le ha viste davvero, senza scorte, alberghi pagati e rimborsi spese, vi invitiamo a confrontarvi con chi di guerra ne sa un po’ di più perché non sa cos’è un padre o una madre e al contrario sa benissimo che non esistono guerre umanitarie e ve lo vuole dire : Vi aspettiamo


La “casa di mattoni”

premessa



Sono ormai note agli addetti ai lavori le diverse esperienze di comunità residenziali che utilizzando una classificazione sommaria divergono tra loro, per approccio metodologico e tipologia“d’utenza”.
Le comunità a cui siamo abituati a fare riferimento, quasi sempre, amano distinguersi proprio utilizzando termini che permettono una facile identificazione in merito al soggetto ospitato (minore,psicotico, psichiatrico, cronico, rifugiati politici…) , al sevizio offerto (residenziale, educativa, terapeutica, riabilitativa, semi residenziale….) e in relazione a questa nomenclatura .variano il tipo di relazione , il grado di decisionalità e libertà “dell’utente” nonché il grado di partecipazione attiva alla vita sociale .
Se la nascita di diverse tipologie di accoglienza e di vivere comunitario hanno permesso di potenziare e diversificare gli interventi, implementando competenze tecniche e strumenti operativi, proprio all’interno di ogni singola definizione si nasconde il grosso limite di gran parte di queste realtà che rischiano di diventare sistemi chiusi.
La comunità nasce come esigenza di un servizio, è frutto del sapere tecnico e come mandato ha quello di accogliere e aiutare soggetti svantaggiati; gli attori di questo servizio sono l’equipe tecnica, “l’utente”, nei casi più fortunati la famiglia di provenienza e soggetti più o meno istituzionali come scuole, associazioni, il grosso dello scambio relazionale avviene all’interno di questo ambito, senza dubbio competente, accogliente, curante ma che è tale, in molti casi, solo all’interno di quel setting .
Ttradizionalmente i servizi e gli stessi operatori dedicano maggior parte dei loro sforzi ad aiutare le persone a superare il proprio stato di bisognosi.
Si nota soprattutto l’enfasi su una condizione di mancanza che giustifica in maniera inequivocabile l’intervento tecnico: in altre parole “la deficienza” reale o presunta, costituisce l’ambito d’interesse delle scienze umane applicate.
D’altra parte, l’intervento educativo si fonda ampiamente sull’errore, su ciò che non è adeguato, quindi sulla mancanza.
Non è un caso che alcuni studiosi hanno sottolineato l’esigenza di cambiare il modello concettuale di approccio, adottando un modello definito della competenza, che rende possibile il passaggio della considerazione del disagio alla condizione di salute e di agio.
Nel modello della deficienza, ciò che è normale, ciò che è sano, viene considerato alla stregua di un’appendice del patologico, che è l’unica dimensione che interessa: della salute si vede quello che manca: in questi ambiti sono i problemi a catturare l’attenzione di chi vi opera.
Il rischio più frequente ,quindi, appare quello di costruire una relazione più o meno educativa all’interno di ambiti storicamente competenti dimenticando che la comunità non è altro che la riproduzione di un nucleo pseudo-familiare all’interno di una macrocomunità che a sua volta riproduce in grande scala equilibri, gerarchie e relazioni proprio come all’interno di qualsiasi nucleo familiare.
La macrocomunità, quindi è il terzo fondamentale attore nel raggiungimento degli obiettivi tipici della comunità ed è il soggetto che può generare il vero passaggio da sistema chiuso a sistema aperto incarnando un sistema di relazioni formali ed informali e detentore di un sapere non tecnico che calibra gli eventuali eccessi interpretativi del sapere tecnico.
Le persone e le macrocomunità possiedono infatti capacità e conoscenze che possono essere utilizzate per la soluzione dei problemi, il sapere e il saper fare popolare possono essere recuperati ed è soprattutto con questi mezzi che l’operatore deve confrontarsi poiché entra a far parte di un sistema di relazioni a lui sconosciuto.
La macrocomunità, nel nostro caso “il Paese”, viene riconosciuta dalla comunità educativa come soggetto attore della relazione educativa e non più come bacino d’utenza o una semplice area geografica.
Alla macrocomunità viene riconosciuta una competenza propria che viene implementata attraverso l’azione facilitante dell’operatore che promuove interazioni comunicative per la co-costruzione di informazioni e saperi che come finalità ha quella di attivare comunità competenti.
L’operatore da realizzatore di interventi diventa un attento assistente di processi ponendosi come mediatore e facilitatore di relazioni, non più custode o pseudo-genitore.
Più che di coinvolgimento della macrocomunità è opportuno parlare di vera e propria partecipazione, interazione e cittadinanza attiva.
La comunità come prerogativa ha quella di partecipare attivamente alla vita della macrocomunità utilizzando le risorse e il sapere non tecnico dei soggetti che la costituiscono, entrando a far parete di una relazione di scambio in modo paritario, ovvero questa non si esaurisce utilizzando le opportunità offerte ma si sviluppa generando all’interno della comunità opportunità a favore del benessere collettivo della macrocomunità prestando particolare attenzione al mondo giovanile, alle tematiche sulla famiglia intesa anche come unioni di fatto e nuclei allargati e promovendo attività ed opportunità aperte ai ragazzi della macrocomunità.
si concentrerà inoltre nelle attività che promuovano confronto sulle tematiche care ai nostri ragazzi e alle loro storie, come interventi a favore dell'intercultura e dello scambio tra esperienze come ad esempio migrazioni e guerra.
L’operatore di comunità diventa quindi interterritoriale poiché lavora all’interno della casa sentendosi parte attiva della macrocomunità e con lui gli ospiti che interagendo ed offrendo saperi e opportunità alla stessa: tra gli obiettivi dei loro progetti educativi avranno quello di sviluppare un senso di cittadinanza attiva.
È importante che la casa generi cultura dal momento che si osserva in diverse esperienze di tipo residenziale che nell’immaginario delle persone queste realtà vengono giudicate come luoghi di custodia, protetti ed impenetrabili, ma come abbiamo già citato la casa pur essendo in bilico tra l’istituzione e la non istituzione protende verso la ricostruzione di un nucleo pseudo-familiare e ha l’obbligo di ritagliarsi come famiglia allargata di fatto il suo ruolo da attore sociale.
“Uno degli elementi fondamentali della qualità della vita di un individuo, nel nostro caso dei ragazzi, e della loro capacità contrattuale, è rappresentato dalla misura in cui il proprio stare in un luogo diventa abitare questo luogo ovvero incidere sulle decisioni partecipando alle stesse.
Fra stare e abitare c’è una grande differenza.
Lo stare ha a che fare con una scarsa o nulla proprietà (non solo materiale) dello spazio da parte di un individuo con una anomia o anonimia dello spazio rispetto a quell’individuo che su detto spazio non ha potere decisionale né materiale né simbolico.
L’abitare ha a che fare con un grado sempre più evoluto di proprietà (non solo materiale) dello spazio in cui si vive, un grado di contratualità elevato rispetto all’organizzazione materiale simbolica degli spazi, degli oggetti, alla loro condivisione effettiva con gli altri.”

nuovi itinerari di convivenza



La “casa di mattoni” si è insediata nel piccolo paese di Monteleone di Fermo nel mese di ottobre e oggi mentre scriviamo sono 6 mesi che questa nuova realtà si interfaccia con il contesto in cui vive, percependone gli umori, accogliendo preoccupazioni, entrando in punta di piedi in una relazione di reciproco scambio con la gente e le istituzioni.
I primi mesi di lavoro della nostra equipe si sono concentrati all’esterno di quella che poi sarebbe diventata una casa a tutti gli effetti, ci siamo divisi i compiti e abbiamo lavorato su due livelli per esplorare e conoscere il contesto che ci avrebbe ospitato.
Un gruppo ha effettuato la propria ricerca operando in ambiti formali e l’altro si è concentrato sulla conoscenza di contesti informali.
L’intento è quello di effettuare una piccola mappatura socio-relazionale e di avere ben chiare le opportunità offerte dal territorio, abbiamo quindi incontrato persone che ricoprono cariche o ruoli di leadership formali: amministratori, forze dell’ordine, tecnici dei servizi sociali d’ambito,parroci, e associazioni.
Per quanto ritenessimo importante stabilire un rapporto di collaborazione con gli ambiti sopraccitati, particolare attenzione è stata prestata alla conoscenza di persone in ambiti informali come luoghi di ritrovo, feste e momenti significativi per la vita del paese.
Oltre a frequentare le iniziative del territorio e i luoghi di ritrovo, abbiamo offerto diverse opportunità per far conoscere la nostra casa e presentarci agli abitanti organizzando alcune iniziative rivolte a tutta la cittadinanza.
Non sono mancate le prime collaborazioni con alcune associazioni presenti sul territorio che hanno visto la Casa ospitare piccoli eventi rivolti alla comunità locale.
Queste azioni hanno visto come interlocutori i gruppi di adolescenti del paese che in diverse occasioni hanno interagito con gli operatori e gli “ospiti” della casa, organizzando momenti ludici e collaborando attivamente alla preparazione delle iniziative di cui sopra.
Queste attività pensate e promosse dagli operatori della casa sono servite ad “agganciare” il gruppo di adolescenti e a sondare le prime impressioni riguardo la vita nel paese e percepirne i primi bisogni, per accogliere successivamente le loro richieste e calibrare l’offerta sui bisogni reali che in fondo non sono distanti da quelli degli adolescenti ospiti della casa.
Ancora prima che arrivassero i primi ospiti alcuni dei ragazzi si sono attivati per aiutare gli operatori nella decorazione della casa, lasciando un dono-segno tangibile del desiderio di partecipare attivamente alle vita del paese.
Tuttora alcuni ragazzi frequentano in orari prestabiliti gli spazi comuni della casa e interagiscono con gli operatori e i pari che abitano la stessa, portano giochi , organizzano momenti di gioco e si confrontano con una realtà che sempre meno rischia di essere stigmatizzata ma viene vissuta come un’opportunità di socializzazione e uno spazio di scambio e crescita collettiva.
Dopo la fase di mappatura e di conoscenza preliminare del contesto si sono attivate le prime progettazioni allargate con alcune realtà del territorio come associazioni, servizi per gli adolescenti.
L’équipe ha poi elaborato una serie di strategie per operare all’interno del contesto locale con il e con lo stesso attraverso metodologie e iniziative che andremo presentare nelle pagine successive.
Oggi alla casa di mattoni a distanza di un anno e mezzo sono stati ospitati 17 ragazzi tra minori stranieri non accompagnati, rifugiati provenienti da conflitti bellici in particolare ragazzi afghani, e ragazzi italiani.